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Photo Credits Antonio Vacirca

"Parafrasando un testo di Carlo Levi ”Paura della pittura” qualche tempo fa era stata inaugurata al Museo del Novecento di Milano, una mostra dal titolo” Chi ha paura del disegno?” con un'ampia selezione di opere su carta di artisti italiani del ventesimo secolo provenienti da una importante collezione privata. Ho sempre avuto l’impressione che il disegno, in Italia, nonostante ormai dal lontano rinascimento sia divenuto cosa autonoma rispetto alla pittura, non abbia la giusta considerazione che invece ha in altri paesi soprattutto del nord Europa.

Maria Buemi non ha paura del disegno, anzi lo affronta con passione e dedizione come dimostrano questi splendidi disegni presenti in questa mostra dal titolo suggestivo di “Alchimia degli elementi".

Tra i primi ricordi che ho dei suoi lavori mi è rimasto nella memoria un piccolo disegno di natura morta eseguito con penna a inchiostro nero; mi colpì allora l’attenzione al dettaglio e soprattutto alla luce che era riuscita a rendere in modo limpido nonostante la difficoltà del mezzo.

Negli anni successivi ho imparato a conoscere la sua pittura di grande sensibilità che si è espressa con il tempo in una visione sempre più astratta sebbene ancorata al reale.

Eppure credo che il disegno sia il suo linguaggio ideale, la sua dimensione più centrata, silenziosa, che collega senza mediazione attraverso la mano, la matita allo spirito. Inoltre la scelta del bianco-nero, della grafite su carta bianca come unici strumenti per raccontare le proprie impressioni del mondo e della propria esistenza, hanno qualcosa di eroico.

Buemi trasforma la carta in levigata pietra, accarezzata dallo sguardo oppure ferita da una mina tagliente: Geografia e geologia del cuore.

Penso che i suoi stati d’animo si muovano su queste superfici di grafite come onde che portano alla luce frammenti di materia o li inabissano nel buio profondo del mare o, ancora, come fratture che sono ferite e rendono visibile il senso di precarietà mentre linee di bianca purezza le attraversano e come un sismografo raccontano di altre tensioni.

Ecco allora apparire, quasi per compensazione e desiderio di quiete, nei suoi disegni, altre geografie, altri luoghi. La materia incontra lo spazio, il vuoto, il silenzio e nell’oscurità bagliori improvvisi di luce bianca ci vengono incontro come stelle nel cosmo o vita pulsante e misteriosa osservata al microscopio che ci fa sentire come sospesi in un tempo e uno spazio ancora da conoscere eppure familiare.

Fratture della materia e materia nascente sono i due estremi in cui opera Maria Buemi: il nero e il bianco, il buio e la luce, la paura e la speranza e infine la bellezza che solo l’arte, come in queste opere, per vie misteriose sa donarci."

Giuseppe Puglisi, Alchimia degli elementi, Caltagirone, 2022

 

 

MARIA BUEMI, Tensioni e fratture: Astratto e Informale, in proprio o in uno, per addensamenti materici o rarefazione ideale e viceversa: escludendo, in ogni caso, la figuratività, ma senza rinnegare l’iconicità del segno. Così, i conti sono presto fatti: e tornano – alla base: la professione di fede pittorica di M.B., nello scorporare la visione del colore per affidarsi alla matita, sfida l’apparenza: l’elementarità dei suoi referenti ne è la chiave, la scelta dei soggetti è da ascrivere al dato squisitamente pittorico: che non è solo dei colori fantasmagorici di cui s’ammanta l’universo che sfugge alla nostra visione da una parte e dall’altra dei suoi estremi nello spettro ottico. Dissolto ogni vincolo figurativo, l’immagine elude i limiti della forma registrandone i mutamenti e la resistenza a ogni chiusura alla materia più refrattaria, come questa fosse la sedimentazione di tutto ciò di cui si è persa la memoria, perché l’arte possa avervi a che fare e evocarlo con il rimpianto delle cose cui non possiamo chiedere di più. Non ci sono vie di mezzo: nell’universo pittorico di M.B., l’onda di energia cromatica non distingue grandezze astronomiche da oscillazioni sub-atomiche. La ‘pasta’ del cosmo è della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni della pittura: più impalpabile quanto più si addensi. La mina di grafite di M.B. scava a fondo, tenendo sotto controllo, infilzati/incrunati per essere più saldi o puntandogli alla gola la sua punta, arpionando i (logori) nervi a fior di pelle del mondo – quello che sortisce da questa texture. Non è stato espulso il colore come non è stato estromesso il soffio vitale che era d’uso situare nel cuore: ha solo cambiato sede o forma, passando, in una elementare alchimia geologica, sedimentaria, magmatica, da luce bianca a traccia grigia o nera di un arcobaleno in negativo o introiettato e pertanto, destinato a illuminare anche lo spazio aperto come fosse l’interno di un organismo i cui congegni seguono diligentemente la funzione indicata dal disegno intelligente che le mostra. L’ascissa che guizza sotto le matite di M.B. si inoltra nel sondaggio di un luogo estraneo, che coincide con la geografia del viaggio che a ogni frammento ha dato aspetto, fra litosfera e esosfera, in un viaggio dentro una materia da saggiare tracciato con l’ultimo raggio che ha visto il mondo da cui è sparito. La nursery di meteoriti al laccio gravitazionale o amigdale neolitiche o anche più antiche, giacenti al fondo di un mare del Cambriano o del Panthalassa: la covata di pietre filosofali vivipare custodite nell’amnio solidificato delle matite che li cullano, genera stupore. Il destino che parla al nostro in quel silenzio ci interroga. “Perché un dio dove può bastare un ciottolo?”, domandava Manlio Sgalambro. Il ciottolo è un dio a se stesso: per l’uomo, restare uomo e diventare se stesso, quell’individuo o fare da specie di un solo esemplare, significa fare i conti con una fragilità che il minerale, sottoposto a stress tensionali (resilienza, addio!), sconta in un tallone d’Achille litico, in un punto di rottura irreversibile. Investiti dalla pressione di forze fisiche e storiche, le analogie sono sospese ovvero limitate a stati o ordini del mondo da cui non evade che la luce stessa che vi porta questa pittura. Che rimane tale anche quando il disegno incide tensioni e fratture in quell’iridescenza contratta in luce bianca o nera in cui il colore, vibrazione luminosa, adempie fedelmente la stessa fatalità cromatica.

Rocco Giudice, Diario di bordo - cronaca di una pandemia, Caltagirone, 2021

 

 

"La pittura di Maria Buemi è declinata nelle connotazioni intensamente segniche del colore e nello spessore cromatico di grafismi rigorosamente dettati, da cui emergono paesaggi  o cristallini, di sorprendente levità anche quando scanditi negli algoritmi più imprevedibili e nelle strutture mutevoli, ma inderogabili: colori fusi o fluidi, acidi o glutinosi, dissecati o ariosi, grumosi o effervescenti: e geometrie cariche di tutta l'energia che traggono nel delimitare zone di pressione luminosa, atmosferica, cromatica."

Rocco Giudice, 2015

 

 

"Lo studio della realtà che Maria Buemi ha portato avanti con ricerca tenace, oggi arriva ad un approdo fatto esclusivamente di elementi astratti,  vibranti e sensibili.

L’artista si è costretta nel tempo, con volontà ferrea, a piegare la sua naturale predisposizione alla rappresentazione del reale per  una direzione più astratta che oggi ritiene più vicina al suo sentire.

La costruzione della pittura di Maria Buemi si muove su alcune direzioni che come traiettorie di fili dorati si snodano attraverso vibrazioni di colore dosato, indagato e classicamente trattenuto. Sono atmosfere dell’anima, stati d’animo appartenenti allo spirito dell’uomo che mostrano uno spazio cosmico.

La sua pittura  è basata su pochi elementi, come le raffinate vibrazioni cromatiche o le scarne strutture di forma. Questi si mostrano come elementi timidi, apparentemente fragili  che però ad una più lunga osservazione rivelano la loro forza espressiva, la loro poetica fragile forza.

Dietro il lirismo di questi ultimi lavori, si cela una sottile tensione aggressiva che si rivela soprattutto in certi segni che, come chiodi, si conficcano sulla materia vibrante. Un universo, oserei dire di sapore metafisico, dove lo spazio è uno spazio dell’arte. Penso a certi lavori di Paul Klee o alle vibrazioni di Max Ernst.

Una pennellata che costruisce tassello dopo  tassello tutta la superficie del lavoro e acquista man mano, agglomerati di materia sempre più spessa che mai diventa pesante. La materia in pittura è un elemento difficile da gestire e Maria, nel suo modo di lavorare, di sentire, crea una materia che con naturalezza vibra alla luce. Il gioco materico è consequenziale alla formulazione spaziale del quadro; infatti la materia si distribuisce sulla superficie non a caso ma snodandosi lungo un percorso che traccia e si fa spazio.

Spazio e materia convivono insieme. Una problematica tutta contemporanea che la pittura della Buemi sottolinea e pone come territorio ancora largamente da esplorare."

Piero Zuccaro, Incontro_Maria Buemi e Cetty Previtera, 2014

 

 

"Maria Buemi affronta lo spazio pittorico con attenzione certosina. L'immagine o sensazione percepita tende a dilatarsi, ad espandersi su tutta la superficie dipinta. Le sue immagini si strutturano attraverso un processo di stratificazione di pennellate su pennellate, sfruttando i più piccoli rilievi della trama della tela, innescando variazioni di spessori di materie. Anche la forma del soggetto affrontato genera possibili stratificazioni pittoriche, attraverso le linee di demarcazione tra luce e ombra o tra il passaggio di un piano ad un altro. E' una pittura che ha una matrice figurativa ma desidera attraverso uno sguardo analitico sintetizzare le forme, fino a restituirci una astrazione del visibile. La luce è un elemento a lungo amato e studiato e sopratutto negli ultimi lavori l'artista sta analizzando la reazione fisica della luce sulla materia pittorica. Analisi certo non facile trattandosi di dosare luce dipinta e luce reale, catturata attraverso i rilievi colorati. I passaggi tonali sono sapienti e ricchi di sfumature, segno di un fare lento e meditativo senza tralasciare l'insieme. Lo spazio infine è l'elemento che maggiormente Maria vuole afferrare, uno spazio mobile, vibrante ed emozionante."

Piero Zuccaro, L'unicotratto, 2010